È entrata nella fase finale la procedura di Democrazia Partecipata promossa dal Comune di Agrigento. I cittadini residenti, con età superiore ai 16 anni, possono esprimere una sola preferenza tra 20 progetti ammessi alla votazione, fino a domani 28 dicembre alle ore 12.00, tramite l’App ufficiale del Comune.

Secondo i dati parziali diffusi dall’amministrazione, oltre 800 cittadini hanno già votato, scegliendo tra un ventaglio di proposte presentate da singoli o associazioni locali. I progetti sono stati illustrati nel corso di un’assemblea pubblica tenutasi presso la Biblioteca “La Rocca”, momento che ha rappresentato il cuore partecipativo dell’iniziativa.

Le dichiarazioni dell’assessore

A commentare l’andamento delle votazioni è stato l’assessore Marco Vullo, che ha parlato di “numeri significativi” e di una “massima espressione di democrazia spontanea”, sottolineando come la partecipazione dimostrerebbe l’amore degli agrigentini per il bene comune e la vitalità del tessuto sociale cittadino.

L’assessore ha inoltre ricordato che il progetto vincitore potrà contare su uno stanziamento di 8 mila euro per l’anno 2025, somma che verrà investita per la realizzazione dell’idea progettuale a beneficio della comunità indicata dal promotore.

Il nodo centrale: quale impegno dell’amministrazione?

Ed è proprio qui che si pone una questione politica tutt’altro che marginale. Lo stesso assessore ha chiarito che i 8 mila euro destinati alla Democrazia Partecipata non derivano da una scelta discrezionale dell’amministrazione, bensì da un obbligo di legge, che stabilisce parametri e importi precisi a cui il Comune deve attenersi.

A questo punto la domanda sorge spontanea: quale sarebbe l’impegno concreto messo in campo dall’amministrazione comunale?
Se le risorse non provengono dal bilancio comunale, ma da fondi vincolati e obbligatori, e se l’azione dell’ente si limita a gestire e redistribuire somme già predeterminate, è legittimo chiedersi dove sia la scelta politica, dove sia l’investimento autonomo, dove sia la volontà di destinare risorse proprie alla partecipazione e alla qualità della vita cittadina.

Un paradosso difficile da ignorare

C’è poi un dato che stona e che merita di essere evidenziato senza ipocrisie: le indennità complessivamente percepite dagli amministratori comunali risultano superiori a somme che il Comune non stanzia neppure per l’insieme delle attività annuali di alcuni assessorati.

In questo contesto, rivendicare come grande risultato politico l’attuazione di un obbligo normativo rischia di apparire quantomeno forzato, soprattutto se a quella retorica non si accompagna nemmeno un euro di investimento diretto del bilancio comunale.

Partecipazione reale o vetrina comunicativa?

Nessuno mette in discussione il valore della partecipazione civica né l’impegno dei cittadini e delle associazioni che hanno presentato i progetti. La partecipazione è un bene e va tutelata.
Ma attribuire all’amministrazione un merito politico che non comporta scelte, sacrifici o investimenti propri rischia di trasformare uno strumento potenzialmente virtuoso in una operazione di immagine.

La Democrazia Partecipata non può diventare una foglia di fico dietro cui nascondere l’assenza di programmazione, la mancanza di risorse comunali dedicate e una visione politica ridotta alla gestione dell’ordinario.

Se davvero, come viene affermato, “vince la città”, allora la città ha il diritto di sapere quanto l’amministrazione comunale investe di tasca propria, e non soltanto quanto è obbligata a redistribuire per legge.

Perché la partecipazione è un valore.
Ma senza responsabilità politica, programmazione e risorse comunali reali, rischia di restare poco più di uno slogan.

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